CHE DISASTRO IL DOCENTE CON L’INUTILE FRITTO MISTO DI FILOSOFIA
Di Massimo Mugnai ho un lontano ricordo, al tempo dei veloci anni universitari, ed è ricordo di giovane studioso affabile e dedicato che studiava autori e problemi che forse anche a me sarebbe un giorno piaciuto studiare. Devo aver poi sentito dell’ottima carriera universitaria, anche se non credo di aver mai letto nulla di suo, più che altro ho conservato, da quei lontani incontri, la fiducia che se un giorno finalmente avessi avuto tempo di studiare certi problemi e autori, avrei potuto farmi aiutare da un qualche suo saggio.
Passa il tempo, e mi ritrovo che il Mugnai, che ricordavo giovane, è già in pensione 🙁 .
Questo suo articolo, quasi un commiato alla sua carriera, meglio ai suoi ruoli di didatta della filosofia (e didatta nell’istituzione di istruzione universitaria italiana di maggior prestigio, la Normale di Pisa), lascia molto amaro in bocca, e non tanto per quel che racconta della preparazione culturale dello studente liceale italiano degli ultimi 25/30 anni, ma piuttosto per quella certa aria di noncurante deresponsabilizzazione con cui egli svela (ma lo studioso ormai anziano sembra neppure esserne consapevole) di aver partecipato a quel che egli stesso con tardivo scandalo ci illustra, come se – a fine di una carriera che lo ha visto membro autorevole delle istituzioni che hanno, per un qualche loro comodo, tollerato se non alimentato il disastro che egli descrive (e non esattamente denuncia) – potesse veramente esimersi dal giustificarsi perché solo ora, ormai fuori ruolo e nulli rischi di carriera, irride ciò contro cui poteva e doveva, per le responsabilità didattiche che ha ricoperto, dedicare sforzi ed energie: perché non ha denunciato, proposto, magari astenuto e obiettato? Leggendolo non risulta chiaro come solo ora renda note le invalse cattive prassi che fino al giorno prima avrà forse sofferto, ma appare aver tollerato piuttosto silente e accondiscendente.
Quel che qui si racconta è piuttosto noto agli addetti ai lavori scolastici. L’insegnamento della filosofia nei licei italiani è andato a degradare negli ultimi venti/trenta anni in un insensato, cacofonico appiccicaticcio di nozioni incomprensibili e/o banalizzanti, ingiustificabile rispetto a qualsisvoglia metodologia didattica e/o scuola filosofica, con lezioni ritualmente ripetute con progressiva perdita di ogni senso della realtà degli effettivi risultati di apprendimento.
Non soprende, quindi, che dal privilegiato osservatorio della prove di ingresso alla classe di Lettere della Normale, il Mugnai abbia scoperto che veramente minima sia la percentuale di giovani italiani che sappia confrontarsi con un brano classico, analizzandone compiutamente argomentazione e categorie impiegate. Il centro del racconto è circa il fallimento, suo e di qualche collega, di sostituire, nelle prove di ingresso, il ‘tema classico’ con delle ‘traccie d’autore’, una proposta del tutto condivisibile nei sui fondamenti ma che verrà però presto abbandonata senza difenderla dal Mugnai stesso e colleghi della Normale. Che una proposta del genere, senza il dovuto sostegno e contesto, sarebbe stato un fallimento era previsione facilissima: non ci si può stupire che chi è addestrato a nuotare con la ciambella non sia a suo agio nel nuoto subacqueo. Ma il punto è un altro: nei quindici anni di responsabilità (e correzioni) normaliste, ha forse il Mugnai dedicato un poco del suo tempo a rimediare la situazione? Ha forse scritto delle linee guida su come gli ignari e mal istruiti studentelli (e i loro insegnanti) dovessero prepararsi? Ha raccolto finanze e collaboratori per una campagna di sensibilizzazione tra docenti, case editrici di manualistica scolastica, colleghi? Ha petito le pubbliche autorità scolastiche per una campagna di ispezioni e controlli sull’insegnamento della filosofia nelle scuole della Repubblica? Ha creato un gruppo, una associazione o una qualche iniziativa editoriale dedicata? Ha esposto la propria persona e carriera in una battaglia di editoriali e interventi pubblici, puntando il dito contro colleghi universitari, insegnanti e burocrazie ministeriali che non avvertivano l’umiliazione intellettuale e nazionale di quel che egli qui racconta? Non mi sembra, non credo proprio, che nessun tentativo del genere viene qui nemmeno lontanamente ricordato, e certo non per massima modestia.
Ma se chi ha esperienza diretta del disastro, e ha avuto responsabilità didattica nella più prestigiosa istituzione di istruzione filosofica italiana, non ci mette il peso del suo ruolo in una o altra di quelle ben possibili iniziative, a chi allora la responsabilità di agire? Ci sono onori, ma anche oneri: ci vuole sudore e studio, e non mi sembra che il Mugnai ne abbia poi avuta, nei suoi anni di esaminatore alla Normale, tanta voglia. E nemmeno conoscenza e profonda comprensione, se non una vaga frustrazione: le proposte operative finali sono in effetti all’insegna dell’approssimazione, di qualche luogo comune e di anedottistica trita (e forse di qualche sassolino nella sua sua scarpa); l’articolo non contiene nessuna buona idea propositiva e nemmeno l’eco di una seria, articolata analisi delle possibili proposte, non sembra che il Mugnai abbia scritto nulla sulla questione con gli standard di un saggio scientifico.
Non so se il panorama della filosofia italiana sia oggi come Mugnai dice in chiusa del suo commiato, ma se tale è certo questo articolo ne sarebbe una folgorante evidenza.